lunedì 28 marzo 2011

ZITELLE A VITA!

"Ci riunimmo attorno al fuoco, lasciando che le lavandaie e le donne
straccione gridassero che il fumo le accecava e che eravamo una banda di
delinquenti.
Avrebbero scritto una lettera al federale o meglio sarebbero andate da lui in
gruppo il giorno seguente perché erano stufe di noi. Era inutile starle a
sentire Cena aveva sempre la sua carta da giocare.



Le zitelle, quelle povere donnette sole, per tutta la vita, donne che credono che prima o poi spunterà da qualche parte un principe azzurro... povere illuse!
Nel romanzo "il prete bello" vengono descritte come donne che stanno quasi sempre a rimproverare Cena e la sua compagnia di amici, solo perché non hanno un marito a cui badare, o una casa accogliente dove stare, stanno lì
a far niente, passando tutte le giornate continuando a spettegolare, o a parlar male di tutto e di tutti, aspettando un uomo che possa dare una minima importanza, stanno lì a consumarsi dalla solitudine....aspettando un uomo che non arriverà mai, diventando vecchie solo per la voglia di non vivere più sole.
Un tempo era molto frequente che le zitelle rimanessero in casa con le madri molto a lungo, a volte anche per tutta la vita...Ai tempi d'oggi le donne senza un marito non sono considerate zitelle, perché posso avere altre cose di cui occuparsi, degli hobbies o comunque degli amici su cui contare, oggi, le donne non vengono neanche più considerate "zitelle" ma semplicemente donne
single! Invece ai tempi de " il prete bello" essere zitella era come aver mancato ad una promessa, non riuscire a creare una famiglia significava, non essere donna, se non puoi prenderti cura di un marito e di un figlio.
Sinceramente non vorrei mai vivere questa situazione. Vivere la vita in solitudine con i rimpianti e i rimorsi non mi sembra una strada da prendere, stare tutta la vita a badare ai genitori e non avere la cosiddetta "libertà" che si prova in età adulta, mi sembra un cosa molto triste. Anche perché, come viene descritto nel libro, le zitelle erano considerate donne antipatiche che non si facevano mai gli affari propri...e non vorrei mai essere descritta così in futuro.
E voi, cosa ne pensate? Volete vivere una vita da zitelle o trovare l'assai richiesto principe azzurro? A voi la scelta!
B. M.

sabato 19 marzo 2011

VIETATO MOLESTARE LE SIGNORINE!

"Ma io sapevo che aveva la malattia per le donne e che si perdeva con donne della peggiore e più unta specie nei vicoli del gasometro.
Non poteva stare senza donna la sera. E quando non riusciva a trovarne passeggiava su e giù per la città fino a notte inoltrata, furiosamente, confidando alle guardie notturne che solo in quel modo si stancava e calmava gli stimoli e le immagini che non lo lasciavano quieto...."



Esistono note vie in cui si possono trovare donne che svolgono il lavoro più antico del mondo, la prostituzione. Ora la situazione è questa, ma tempo fa, pensando magari all'epoca del fascismo, come e dove lavoravano queste donne? Iniziamo dicendo... Tutti conoscono le case chiuse? Queste, anche dette case di tolleranza, bordelli, case di appuntamenti o casino, erano abitazioni in cui si esercitava la prostituzione. Nell'antica Grecia e Roma le passeggiatrici, sinonimo di prostitute, erano considerate sacre, degne di rispetto e considerazione. Le case chiuse, però, sono state istituite da Cavour nel 1860. Le signorine che ci lavoravano venivano controllate da un medico due volte la settimana e tutte le sere passavano degli agenti in borghese ad assicurarsi che le case fossero in ordine, in modo che i clienti e i gestori sapessero che c'era una stretta sorveglianza dello Stato sulle attività. Le prostitute più lavoravano più venivano pagate. Una semplice prestazione faceva guadagnare una “marchetta” ed al giorno si arrivava più o meno 35 “marchette” a donna. C'era però il pericolo che potesse nascere l'amore tra il cliente e la prostituta: per far sì che ciò non accadesse, le ragazze non restavano in una casa mai più di quindici giorni, a parte nelle case più povere nelle quali potevano restare anche per mesi.
Le case presentavano un salone d'ingresso, dove venivano esposte le ragazze e si potevano pagare le prestazioni. Al piano superiore, vi erano le camere: erano presenti alcune camere molto affollate in cui lavoravano anche 30 signorine contemporaneamente ed in altre stanze restavano solo 3-4 ragazze, anche loro lavoranti nello stesso tempo.
Come dettava la tradizione, i neo-diciottenni venivano portati in queste case di tolleranza per conoscere “le gioie del sesso”. Spesso, però, capitava che ragazzi minorenni, accompagnati da adulti, venivano fatti entrare e accettati ugualmente.
Le case chiuse suscitavano molto scalpore tra il popolo. Pur essendo frequentate da ogni ceto sociale, erano considerate luoghi scandalosi, nonostante fossero presenti in molti paesi. Nel 1948 venne proibito il rilascio di nuove licenze, ma le case non furono costrette a chiudere fino al 1958, con la Legge Merlin.
Ora, dopo una riflessione personale, sono arrivata alla conclusione: sulla strada o in case chiuse, laprostituzione c'è da sempre, che si aboliscano i bordelli o la si renda illegale, non viene eliminata. E voi, sareste favorevoli alla riapertura delle case chiuse?

L. C.

giovedì 10 marzo 2011

La competizione tra donne?! Una cosa normale.





Il motivo più comune della competizione tra due o più donne?! L’uomo. Se una femmina è attratta da un maschio cerca in tutti i modi di farlo proprio, mostrandosi disponibile, interessata e, spesso, alquanto assillante. Quando scopre di non essere l’unica ad avere un debole per questo, comincia a nutrire un profondo odio per l’altra spasimante, ed è così che comincia un’ambigua competizione. Si fa a gara per chi è più bella, per chi riceve più attenzioni dall’uomo, si spettegola l’una dell’altra senza tregua, si chiedono instancabilmente informazioni alle amiche dell’avversaria sul suo temporale stato sentimentale! Nel caso della signorina Immacolata e della signora Camilla, abbiamo due donne ormai non più in età da marito, che spasimano per Don Gastone, il bel prete della propria parrocchia. Da una parte la signora Immacolata, la persona più importante del caseggiato abitato da un ceto povero, una donnetta borghese con minuscoli occhi ravvicinati e con un naso adunco, molto elegante, che porta sempre strani cappelli con piume e occhialini d’oro. Il suo rapporto con Don Gastone si basa sullo sfruttamento, da parte del parroco, il quale si comporta con fare fascinoso con lei.
Dall’altra parte la signora Camilla, donna povera di una cinquantina d’anni che abita in due stanzette al pian terreno, vive frequentando famiglie dove può servire per lavori di rammendo, e dei pochi soldi che le assegna la Parrocchia per la rivendita dei giornalini delle Missioni.
Quest’ultima, con le sue moine, si fa raccontare dal protagonista e voce narrante quanto vi fosse tra la signorina Immacolata ed il prete, che cosa si dicono e fanno mentre sono a casa della donna.
Personalmente, trovo divertente vedere combattere due donne per un uomo, soprattutto se questo è un prete, il quale non può di certo stare con nessuna delle due.
Voi che cosa ne pensate? Credete che questa situazione permarrà per tutto il romanzo o che sarà solo una situazione di durata temporale? E Don Gastone come reagirà sapendo delle due spasimanti? Raccontate…
M. G.

giovedì 3 marzo 2011

Goffredo Parise, uno di noi.


Un veneto vero. Con un nome veneto, un accento veneto, una camminata da veneto e pure un naso da veneto. Un naso grande, importante, come i nasi che alcuni veneti, furbi e dall'occhio vispo, portano con sè. Goffredo Parise, per gli amici Edo, potrebbe essere quel vicentino grazie al quale esistono i vicentini. Perchè se è vero che ogni realtà, ogni dimensione, ogni principio ha un'eccezione che lo conferma, Parise potrebbe essere l'eccezione alla regola dei veneti. Talmente eccezionale da potersene stare lì, seduto in mezzo ai veneti al tavolino di un bar di Vicenza (ma non per troppo tempo) e poterli descrivere nei loro atteggiamenti, vezzi e rituali senza che nemmeno se ne accorgano. Un uomo talmente abituato e inserito nella dimensione veneta da potersi permettere di raccontarla con quella sottile e malinconica ironia che gli ha concesso di essere amato dalla gente e meno dagli intellettuali vecchio stampo, quelli che hanno cominciato ad ammetterne la grandezza solo dopo la morte, come da italica consuetudine.

Parise, se fosse vivo, sarebbe un vecchio giovane vicentino, ma ancor più veneto, pronto a raccontare, magari a parole o attraverso qualche articolo, come le cose stanno. O come stanno precipitando. "Il prete bello" è probabilmente il libro che gli apre questa via, di osservatore e narratore, che poi seguirà e approfondirà per tutta la vita, indipendentemente dalle opere scritte. Osservare un territorio e ancor più le persone che lo abitano, osservarle con quella curiosità non certamente tipica degli intellettuali così chiamati dagli altri, ma degli intellettuali che di questo titolo non sanno che farsene, perchè a loro di certo non cambia nulla. Parise era così e a lui, di essere un intellettuale, non credo importasse molto. Lui guardava le cose, rifletteva e le raccontava come se le si dovesse raccontare a un gruppo di ragazzini, magari di un caseggiato popolare, che tra un "ciuppascondere" e l'altro potevano aver voglia di ascoltare qualche bella storia, ma nemmeno troppo fantastica. Ma Parise le storie non le raccontava ai ragazzini, piuttosto se le faceva raccontare da loro, molto più interessanti di quelle raccontate da professoroni e accademici. Ed è per questo che voglio leggere questo romanzo e farmi aiutare nell’analisi mai miei studenti liceali, 14-15enni, vicentini. Scommetto che a loro Goffredo sarà simpatico, dimostrando come un buon libro con la vecchiaia non peggiora. Anzi.
E allora se amate Parise o semplicemente se volete imparare a conoscerlo, seguite questo blog, perché per tre mesi i mie allievi posteranno articoli di approfondimento e riflessione sulla sua opera, e magari scopriamo pure qualcosa di nuovo. Ad esempio quanto Parise possa piacere agli adolescenti.
Buona lettura
Simone Ariot