giovedì 3 marzo 2011

Goffredo Parise, uno di noi.


Un veneto vero. Con un nome veneto, un accento veneto, una camminata da veneto e pure un naso da veneto. Un naso grande, importante, come i nasi che alcuni veneti, furbi e dall'occhio vispo, portano con sè. Goffredo Parise, per gli amici Edo, potrebbe essere quel vicentino grazie al quale esistono i vicentini. Perchè se è vero che ogni realtà, ogni dimensione, ogni principio ha un'eccezione che lo conferma, Parise potrebbe essere l'eccezione alla regola dei veneti. Talmente eccezionale da potersene stare lì, seduto in mezzo ai veneti al tavolino di un bar di Vicenza (ma non per troppo tempo) e poterli descrivere nei loro atteggiamenti, vezzi e rituali senza che nemmeno se ne accorgano. Un uomo talmente abituato e inserito nella dimensione veneta da potersi permettere di raccontarla con quella sottile e malinconica ironia che gli ha concesso di essere amato dalla gente e meno dagli intellettuali vecchio stampo, quelli che hanno cominciato ad ammetterne la grandezza solo dopo la morte, come da italica consuetudine.

Parise, se fosse vivo, sarebbe un vecchio giovane vicentino, ma ancor più veneto, pronto a raccontare, magari a parole o attraverso qualche articolo, come le cose stanno. O come stanno precipitando. "Il prete bello" è probabilmente il libro che gli apre questa via, di osservatore e narratore, che poi seguirà e approfondirà per tutta la vita, indipendentemente dalle opere scritte. Osservare un territorio e ancor più le persone che lo abitano, osservarle con quella curiosità non certamente tipica degli intellettuali così chiamati dagli altri, ma degli intellettuali che di questo titolo non sanno che farsene, perchè a loro di certo non cambia nulla. Parise era così e a lui, di essere un intellettuale, non credo importasse molto. Lui guardava le cose, rifletteva e le raccontava come se le si dovesse raccontare a un gruppo di ragazzini, magari di un caseggiato popolare, che tra un "ciuppascondere" e l'altro potevano aver voglia di ascoltare qualche bella storia, ma nemmeno troppo fantastica. Ma Parise le storie non le raccontava ai ragazzini, piuttosto se le faceva raccontare da loro, molto più interessanti di quelle raccontate da professoroni e accademici. Ed è per questo che voglio leggere questo romanzo e farmi aiutare nell’analisi mai miei studenti liceali, 14-15enni, vicentini. Scommetto che a loro Goffredo sarà simpatico, dimostrando come un buon libro con la vecchiaia non peggiora. Anzi.
E allora se amate Parise o semplicemente se volete imparare a conoscerlo, seguite questo blog, perché per tre mesi i mie allievi posteranno articoli di approfondimento e riflessione sulla sua opera, e magari scopriamo pure qualcosa di nuovo. Ad esempio quanto Parise possa piacere agli adolescenti.
Buona lettura
Simone Ariot

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